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La verità su Immuni

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L’App anti Covid-19

Ci è stata presentata come uno degli strumenti utili a combattere la diffusione del coronavirus in Italia, uno strumento valido per prevenire la diffusione di eventuali  nuovi focolai. Immuni, si diceva,  ci avrebbe aiutato senza violare la nostra riservatezza, senza tracciare i nostri percorsi, scambiando solo documenti di testo cifrati tra i dispositivi degli utenti con cui fossimo venuti in contatto per oltre 15 minuti ad una distanza inferiore ai 2 metri.

100.000+ download nelle prime 24 ore

Non sorprende quindi che l’App sia stata attesa, quasi bramata, da milioni di italiani ormai stanchi di un lockdown che, da una parte ha permesso la riduzione della diffusione del virus, dall’altra ha comportato conseguenze importanti sul piano sociale prima ancora che economico.

Non sorprende che a poche ore dal lancio già in oltre 50 mila abbiano scaricato l’App della provvidenza.

L’installazione di Immuni

Coloro che, curiosi di conoscere questa nuova App e desiderosi di farsi difendere dal pericolo di un ritorno di pandemia hanno già scaricato l’App si sono trovati di fronte ad una serie di schermate grafiche in cui prima viene introdotta l’App con un messaggio che, anche se con parole diverse, evoca il mantra “uniti ce la faremo”, quindi si è trovato davanti ad una schermata intitolata “La tua privacy è tutelata” e all’invito: «Iniziamo».

Sotto il titolo” La tua privacy è al sicuro” viene offerta una informativa semplificata che garantisce la mia riservatezza. Evviva!! Scorrendo la pagina si nota che l’icona del GPS è sbarrata (l’app evidentemente non ne fa uso) e anche leggendo l’informativa privacy completa, si legge: «In nessun caso ranno tracciati gli spostamenti degli utenti, escludendo quindi ogni forma di geolocalizzazione» (n. 4), citazione del Presidente Giuseppe Conte che, l’aveva affermato già il 30 aprile annunciando che il DPCM aveva approvato questa nuova App ma sotto stringenti condizioni. 

Ma il tracciamento non è solo bluetooth

Ma le sorprese arrivano presto. Quando si è inserita la propria regione e il comune di provenienza, infatti, la fase successiva è quella del consenso alle “notifiche di esposizione al Covid-19” ma, non ci crederete, questo consenso è subordinato all’accettazione di attivare il GPS, ovvero il sistema di geolocalizzazione del nostro smarpthone. 

E pensare che tanto sul sito del Garante della Privacy (che annuncia il via libera alla App in data 1 giugno), quanto sulla informativa della privacy a cura del Ministero della Salute (che della App è responsabile) non si fa alcun cenno a questa richiesta. Che succede quindi? 

Probabilmente si è ritenuto che il GPS fosse uno strumento indispensabile per individuare eventuali assembramenti. Però perché non dirlo? In fondo, i tanto vituperati italiani, durante queste settimane e i mesi di lockdown sono stati tra i più rispettosi d’Europa.

In attesa di chiarimento

Perché quindi tacere fino all’ultimo che la possibilità di usare Immuni è subordinata alla accettazione di essere tracciabili (se si disabilita il GPS dopo l’installazione, sulla app compare la scritta “Servizio non Attivo”)? Se Bending Spoons, la software house che ha prodotto Immuni non ha accesso ai dati del GPS, chi vi ha accesso e a quale fine? 

Si tratta di domande che restano per ora irrisolte, e rispetto alle quali c’è da augurarsi in un chiarimento da parte del Garante della Privacy Antonello Soro che ha dato il via libera a Immuni, del ministro della salute Roberto Speranza o del Presidente del Consiglio Giuseppe.

Perché diciamocelo anche se oggi è il 2 giugno: da chi ci governa non dovrebbe essere un problema attendersi chiarezza e onestà intellettuale, ma alla luce di tutto questo viene da pensare che in Italia neppure questo, ormai, costituisca un diritto…

Che dire quindi? Buona festa della Repubblica.

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