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Il comico… non fa più ridere

Il nostro “Grillo (s)parlante nazionale” è tornato. Da qualche giorno ha riguadagnato la ribalta pubblicando – sulle pagine social – un nuovo video in cui questa volta prende le parti del figlio Ciro che, da due anni, è indagato per stupro di gruppo ai danni di una ragazza di 19 anni durante una vacanza in Sardegna.

Dal video, il “comico commisto alla politica” appare arrabbiato (è naturalmente un eufemismo). A farne bollire l’animo sono le lentezze del sistema giuridico italiano (che da due anni ancora non decreta l’innocenza del figlio) e una ragazzina di 19 anni, colpevole di aver atteso otto giorni per denunciare i suoi presunti stupratori. Alla fine la sentenza è semplice, basta chiedere a lui, l'”Elevato”, che vaticina: «Mio figlio non ha fatto niente» e sfida: «Se volete arrestare mio figlio… allora arrestate anche me». Ma andiamo con ordine.

Perché non li avete arrestati subito?

La domanda è dello stesso Beppe Grillo che afferma «Secondo la legge [sua, ndr] gli stupratori vengono presi e vengono messi in galera e si interrogano in galera o ai domiciliari». Quindi domanda provocatoriamente: «Sono stati lasciati liberi per due anni: perché non li avete arrestati subito?».

La conclusione, a suo modo di vedere logica è che non sono stati arrestati perché gli inquirenti avrebbero compreso che non si è trattato di stupro.

A dispetto di quanto farneticato da un padre ferito, però le cose stanno diversamente. La legge prevede l’arresto solo nel caso di flagranza di reato. In tutti gli altri casi vale un principio sancito dalla Costituzione Italiana per cui «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» (Art. 27, c. 2). Insomma, i due anni di libertà non intendono suggerire l’innocenza degli indagati, quanto piuttosto il fatto che la legge italiana è garantista. Per tutti. Non solo per “i tecnocrati della politica” ecc., ma anche per Ciro Grillo e i suoi amici.

Dopo otto giorni fa la denuncia… è strano

Dopo aver dimostrato (a suo modo di vedere inequivocabilmente) l’innocenza del figlio, il comico (ma non fa ridere) se la prende con la 19enne che ha presentato la denuncia. Afferma: «Una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio fa il kitesurf e dopo otto gironi fa la denuncia vi è sembrato strano… È strano!»

La risposta a questo tipo di asserzioni potrebbero essere (e lo sono state) le più diverse. La risposta più clamorosa, però, è quella di una parlamentare 5 stelle, l’Onorevole Federica Daga che, in una intervista per La Repubblica ha raccontato in modo semplice e schietto, a tratti quasi toccante, una storia personale di violenza. La donna, all’epoca dei fatti alle soglie dei 40 anni, è stata perseguitata e controllata dall’uomo anche dopo che si erano lasciati. Ed è arrivata finalmente alla denuncia dopo ben sei mesi di sofferenze gratuite. Perché ha atteso tanto? La risposta è illuminante: «Mi vergognavo, mi sentivo sconfitta per essere entrata in relazione con un uomo così, per aver accettato le sue attenzioni».

Inutile dire che se una donna, adulta e che riveste un ruolo istituzionale, impiega sei mesi per metabolizzare la violenza e trovare la forza di denunciare chi tanto male le ha fatto, non è poi così strano che una ragazza di 19 anni abbia trovato il coraggio di denunciare i suoi stupratori dopo otto giorni e non subito dopo essersi riavuta. Anzi, semmai è strano che abbia trovato così presto il coraggio di parlare…

C’è un video

Dopo aver presentato la tesi della difesa e cercato di screditare l’accusa, con un coupe de teatre, Grillo padre tira fuori la “prova regina”: «Non c’è un avvocato che parla o sono io il padre, che difende suo figlio: c’è un video… e dentro si vede… che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di diciannove anni».

È vero: un video c’è. E francamente, al posto degli imputati vorrei che non ci fosse. Perché a chi li difende finiscono per apparire “coglioni in mutande” (così dal video), per gli inquirenti questo video non sembra aver dimostrato l’innocenza. E anzi, forse potrebbe costituire anche una prova a carico per altri potenziali capi di imputazione come ad esempio il ricatto (revenge porn).

Arrestate anche me.

Il video si chiude con l’ennesimo colpo di scena, il gran finale di uno spettacolo montato ad arte per ribadire fin nei titoli di coda l’innocenza di Ciro («Se dovete arrestare mio figlio che non ha fatto niente, allora dovete arrestare anche me…»).

Lo confesso. Capisco che sia stufo e capisco che da padre voglia difendere il frutto dei suoi lombi. Io stesso non augurerei a nessuno quello che sta passando lui. La verità, però, è che quando si parla di figli o comunque di persone amate, in genere si osserva tutto attraverso speciali lenti che restituiscono una immagine addolcita della verità, sicché anche la vicenda più amara o scabrosa alla fine risulta zuccherosa, pulita e romantica.

Con questo non dico che Ciro & co. siano colpevoli. Ma solo che il grande amore di un padre verso un figlio può talvolta portarlo a prendere posizioni che altrimenti avrebbe accuratamente evitato. Come quella di “Grillo tonante” dopo aver suggerito agli inquirenti il modo migliore di concludere il calvario giudiziario in cui Ciro e i suoi amici si sono cacciati (Mio figlio non ha fatto niente), ha pure preso posizioni durissime contro una ragazzina che, implicitamente, accusa di aver montato il caso.

Una posizione, dicevo, che normalmente nessuno assumerebbe a cuor leggero perché la sentenza può essere favorevole o contraria. Nel primo caso ci aspettiamo di rivederlo mentre dà per scontato il fatto che il suo giudizio è più rapido di quello della magistratura per arrivare alle medesime conclusioni e magari cercherà di aprire anche la magistratura come una scatoletta di tonno (palamara). Nel secondo però si troverà nella posizione scomoda di chi, forte del suo peso mediatico, ha aggredito una ragazzina gettando su di lei i peggiori sospetti, e mi domando se avrà il coraggio e la dignità di tornare in video e domandare scusa a lei e alla sua famigli perché anche lei ha una mamma e un papà che soffrono con e per lei.

Resta l’imbarazzo .

Alla fine di questa storia restano solo tanti imbarazzi.

Il primo è quello di un Movimento 5 Stelle già diviso e che ora si divide ancora di più (chi sostenere tra il Garante o la onorevole collega Daga?). Il secondo è quello del professore Giuseppi Conte che, all’Elevato deve la possibilità di fare una carriera politica, ma che dalla cattedra cui è tornato a sedersi in attesa di più alti scranni, avrebbe potuto dare qualche lezione di diritto penale, o almeno di diritto pubblico fondamentale (la Costituzione), o se non altro di bon ton (anche senza  arrivare ai tre o quattro pizzi della pochette) al suo mentore. Il terzo potrebbe essere l’imbarazzo generato nel sistema giudiziario per il fatto di vedersi rinfacciare una volta in più la farraginosità delle procedure e i tempi epocali necessari per arrivare alla fine di un procedimento.

L’unico senza imbarazzo è lui, Beppe, che da bestia da palco qual è, continua a pontificare con la consueta strafottenza.

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