Alle origini del razzismo
Il razzismo ha origini antiche. Probabilmente è vecchio come il mondo stesso, o almeno come le origini della vita. Nonostante l’evoluzione della specie umana, però, continua a essere un problema attuale. Non meno grave, e probabilmente altrettanto antico, è l’atteggiamento opposto: l’antirazzismo. Mascherata da cosa positiva, è in realtà ciò dietro cui ci si nasconde, per macchiarsi esattamente della stessa colpa. Sicché antirazzismo e razzismo sono due facce di una medesima medaglia e, per dirla col Rigoletto, “Questo o quello per me pari sono”.
Il contrario del razzismo infatti è la tolleranza, l’accoglienza, o anche quel senso di fraternità che a me è inspirata la fede cristiana, e che altri potrebbero ricondurre alla legge naturale intrinseca ad ogni uomo e che i nostri anziani riassumevano nella massima: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”.
Nell’ultimo periodo il caso di George Floyd ha riacceso i riflettori su questo problema costringendoci a prendere posizioni e a riflettere, nel bene o nel male, su quale sia la nostra scelta di campo.
Rigurgiti di razzismo
In una società globalizzata come la nostra non è insolito, purtroppo, osservare i rigurgiti di razzismo che in varie parti del mondo ogni tanto si verificano.
George Floyd era un afroamericano di 46 anni, membro di una band rap con lo pseudonimo di “big Floyd”. Una sera entra in un negozio per acquistare delle sigarette, paga e sale in auto. Il commesso del negozio, però, ritenendo di essere stato pagato con una banconota contraffatta, domanda la restituzione della merce e al rifiuto chiama il 911 (la polizia).
Quando la polizia arriva, un agente, pistola alla mano,gli intima di scendere dall’auto. Quindi la scena si fa concitata. Lo strattonano, lo ammanettano e cercano di metterlo in auto. Lui è claustrofobico e ha difficoltà a respirare. Mentre, per gli agenti che stanno operando l’arresto, arrivano i rinforzi Floyd viene trascinato sul sedile posteriore dell’auto della polizia (dal lato di guida a quello del passeggero) fino a cadere a terra dove viene immobilizzato con un ginocchio sul collo.
La tragedia
A questo punto inizia il conto alla rovescia. Alle 20.19 Floyd è a terra e vivo. Testimoni riferiscono che abbia detto: «non riesco a respirare» e «per favore, per favore, per favore» e ancora «per favore amico». Alle 20.20 Floyd non si muove più. Quando è forse ormai troppo tardi la polizia chiama una ambulanza in “codice 2” ritenendo che non si trattasse di una vera emergenza (“codice 3”). Sono le 20.22.
In tre minuti si è consumata una tragedia. Una vita è stata spezzata per colpa non di un agente razzista, ma del razzismo che da sempre serpeggia nella società umana. Certo, forse per razzismo, i poliziotti hanno ritenuto di poter commettere (impunemente?) abusi di potere su un altro cittadino americano. Ma razzista è anche l’atteggiamento di chi, in forza di un cliché, pensa che una persona, solo perché di colore, stia cercando di spacciare denaro contraffatto.
Di questa terribile storia, in qualche modo siamo stati tutti testimoni.
Rigurgiti di antirazzismo
In seguito alla morte di Floyd ci sono state molte manifestazioni che pretendevano di ricordare quest’uomo e denunciare il razzismo. Tuttavia, personalmente non riesco a cogliere il nesso tra una manifestazione commemorativa, e il danneggiamento di vetrine di attività e negozi ai bordi delle strade percorse dai manifestanti “antirazzisti” per Floyd. Non crediate: ci ho provato, ma proprio non ci riesco.
Forse per un mio personale limite, quando assisto a queste scene penso che il Floyd di turno sia solo il capro espiatorio su cui scaricare le proprie colpe, cercando così di nascondere e giustificare, talvolta anche con se stessi, una condotta che altrimenti non troverebbe giustificazione. E invece è comodo mascherare la propria furia dietro lo slogan “giustice for Floyd“. Quando razzismo e antirazzismo sono due facce di una medesima medaglia, si arriva al punto che non si sa più a chi appartenga il torto e a chi la ragione. La sola cosa certa è che si innesca un circolo vizioso destinato ad arrivare a limiti che forse lo stesso Floyd avrebbe deprecato.
Vincere il razzismo si può?
Se dopo l’attentato alla rivista satirica Charlie Hebdo (2015), in Francia e fuori tutti dicevano “Je suis Charlie”. Ora che il vento è cambiato, i tanti “Charlies” sono tutti novelli “George Floyd”.
Se nel 2017, i dei campioni americani di rugby iniziarono a mettersi in ginocchio durante l’inno nazionale per protestare contro il razzismo (ma senza seguito), ora tutti si inginocchiano per ricordare Floyd.
La sensazione è che nulla è cambiato allora, e che nulla cambierà ora!
Trovo infatti troppo facile, addirittura comodo, partecipare ad un flash mob magari in favore di telecamera. E trovo bugiardo chi, davanti ad un obiettivo si professa fratello di George Floyd senza fare di più. Se chi, nel mondo, ha piegato il ginocchio in sua memoria avesse devoluto 1 solo centesimo a Quincy Mason e Gianna Floyd (22 e 6 anni), probabilmente i figli di Folyd avrebbero abbastanza denaro da pagarsi i migliori college. E ci si riempie la bocca di parole vuote, si compiono gesti scimmiottando chi lo ha compiuto prima di noi, magari si buca una rete come l’interista Romelu Lukaku con la Sampdoria, ma non si lascia nessun segno nella storia.